Oggi come non mai, pruriti razzisti e finti patriottismi sono al centro della discussione politica italiana ed internazionale e solleticano pericolosamente l'immaginario di parte della nostra società. I Salvini o i Trump sono predicatori d'odio ai fini elettorali e, purtroppo, funzionano perché offrono a chi sta peggio una valvola di sfogo, un diversivo su cui scaricare le frustrazioni della propria quotidiana miseria. Come se far star male qualcun altro potesse far star bene noi stessi.
In Italia, prima era Nord contro Sud (lo è ancora ma se ne parla molto meno in nome di un nemico comune), ora è italiani contro immigrati. In America, bontà loro, non hanno mai smesso di discriminare neri e latinos, ma da un po' di tempo a questa parte hanno decisamente rinvigorito la fiamma sotto alla graticola. La storia si ripete. Sempre.
I fascio-leghisti probabilmente dimenticano - o peggio, non hanno mai studiato - i flussi migratori italiani. Soprattutto quelli verso le Americhe di fine Ottocento e inizio Novecento, quando i nostri connazionali venivano considerati alla stregua, se non peggiori, dei tanto vituperati migranti odierni.
Sì perché si fa presto, oggi, a dire che gli Italian-Americans (malavita a parte) occupano posizioni di primissimo piano nella società statunitense. La storia ci dice che non è stato sempre così.
Per esempio, sono certo che i moderni xenofobi di casa nostra non sappiano che il più grave linciaggio di massa della storia degli Stati Uniti avvenne ai danni di italiani, a New Orleans, nel 1891.
Nella seconda metà del diciannovesimo secolo, circa 10 milioni di italiani da tutte le regioni del bel paese emigrarono verso gli Stati Uniti. Grazie a una rotta navale che la collegava con Palermo, moltissimi siciliani arrivarono a New Orleans. Come in molte altre città americane, anche qui, gli immigrati italiani si sistemarono in un quartiere della città che prese il nome di Little Palermo. Di fatto, l'intenzione della maggior parte di loro era quella di lavorare in America per qualche anno e, dopo aver messo da parte dei soldi, di fare ritorno in Italia dalle proprie famiglie. Pertanto, l'integrazione non rappresentava affatto una priorità.
Strano: questa storia mi sembra di averla già vista da qualche altra parte...
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"Italiani non ammessi", recitano le condizioni di un appalto pubblico |
Ma torniamo alla vicenda di cui sopra.
Già nel 1888, il quotidiano locale The Mascot aveva pubblicato una vignetta dal titolo "Per quanto riguarda la popolazione italiana" che raffigurava alcune scene di vita degli immigrati italiani, intenti a bighellonare e a dar fastidio ai passanti, rinchiusi a dormire in stanze sovraffollate e dediti alle risse con coltelli e bastoni, "un rilassante passatempo pomeridiano". E dire che, fra i nostri connazionali, c'era anche un sacco di gente che si spaccava la schiena di onesto lavoro!
Se i patrioti nostrani leggessero di questa vicenda, già mi immagino il moto di indignazione per la meschina generalizzazione! Per fortuna che non ne hanno il tempo, così occupati a fare di tutta l'erba cattiva - africana o islamica o "zingara" che sia - un fascio (sì, il gioco di parole è voluto).
Nella vignetta veniva anche data la ricetta per risolvere il problema: "liberarsi di loro" uccidendoli oppure manganellarli e arrestarli. Colpevoli a prescindere. Tutti. E tanti saluti allo stato di diritto.
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La vignetta di The Mascot |
Il sentimento anti-italiano era così diffuso che nel 1891 la vignetta del The Mascot, in un certo senso, prese vita. La scintilla che fece divampare l'incendio - era solo questione di tempo, come abbiamo visto - fu l'omicidio del capo della polizia di New Orleans, David Hennessy, avvenuto alla fine dell'anno precedente.
Hennessy avrebbe dovuto testimoniare in tribunale su una faida tra due famiglie mafiose rivali, i Provenzano (un nome una garanzia!) e i Matranga, che si contendevano il controllo del porto. A New Orleans la corruzione imperversava e Hennessy non faceva eccezione. Il suo ruolo gli permetteva di avere le mani in pasta un po' dappertutto in città. Soprattutto, intascava tangenti ed era risaputo che fosse a libro paga dei Provenzano, nonostante fosse irlandese e i rapporti fra italiani ed irlandesi, a quei tempi, fossero notoriamente molto tesi. Ma - come dicevano i latini - pecunia non olet.
Si diceva che, al processo, Hennessy avrebbe scagionato i Provenzano, implicando invece i Matranga e probabilmente per questa ragione, la notte del 15 ottobre, mentre rientrava a casa, venne colpito dalle fucilate esplose da uomini non identificati. L'amico capitano O'Connor, accorso dopo avere sentito gli spari, avrebbe poi detto che Hennessy gli aveva sussurrato la frase "Dagos did it", cioè sono stati i dagos, slang dispregiativo con cui venivano genericamente indicati gli immigrati italiani.
Non importa che l'unico ad aver sentito quella frase fosse stato O'Connor né che il poliziotto - tornato cosciente in ospedale prima di peggiorare improvvisamente e morire la mattina seguente - non l'avesse ripetuta a nessun altro, addirittura neanche a un giudice che gli aveva fatto visita in ospedale nella notte.
Ma non fu necessario. Il pregiudizio arriva a sentenza senza che vi sia alcun processo. È l'intolleranza, baby.
La stampa locale fece da cassa di risonanza al peggior razzismo. Il sindaco di New Orleans, Joseph Shakespeare, scrisse che "il clima mite, la facilità con la quale ci si può assicurare il necessario per vivere e la natura poliglotta dei suoi abitanti, hanno fatto sì che, sfortunatamente, questa parte del Paese sia stata scelta dai disoccupati e dagli emigranti appartenenti alla peggiore specie di europei, i meridionali italiani...gli individui più abietti, più pigri, più depravati, più violenti e più indegni che esistano al mondo, peggiori dei negri e più indesiderabili dei polacchi...Dobbiamo dare a questa gente una lezione che dovranno ricordare per sempre".
Partì una vera e propria caccia razziale. Dopo una massiccia operazione per cui la polizia aveva l'ordine di arrestare ogni italiano sospetto, si arrivò al processo per diciannove imputati, undici dei quali accusati di aver avuto parte attiva nell'omicidio. Tra di loro c'erano i boss Macheca e Matranga ed altri malavitosi, ma anche dei poveri lavoratori che non avevano mai avuto problemi con la legge né legame alcuno con la criminalità.
Nel mese di marzo del 1891, alla fine di un controverso dibattimento caratterizzato da prove esili e ben sessantasette testimoni d´accusa - ma il famigerato capitano O'Connor non venne neanche ascoltato durante le udienze! - la giuria popolare emise un verdetto di non colpevolezza per otto degli undici imputati, e non riuscì a raggiungere un verdetto unanime per tutti gli altri.
Ma il razzismo non sente ragioni e non conosce diritti.
Con una forzatura giuridica, tutti gli arrestati vennero trattenuti in carcere. Non fu sufficiente a placare la rabbia intollerante della popolazione.
Avete presente quando qualcuno commette un reato e, se è straniero, da noi parte il solito tam-tam delle ronde, dell'Italia-agli-italiani e degli immigrati-tutti-delinquenti? Ecco, il giorno dopo a New Orleans, i giornali pubblicarono questo comunicato: "Tutti i bravi cittadini sono invitati a partecipare all'assemblea convocata sabato 14 marzo alle 10 alla Clay Statue, per prendere provvedimenti rispetto al fallimento della giustizia nel caso Hennessy. Arrivare pronti all'azione".
Il 14 marzo, dunque, circa 3.000 persone si recarono alla prigione. La folla inferocita abbatté le porte e uccise barbaramente undici persone di origine italiana, alcune di loro neanche legate al processo, mostrando poi i corpi martoriati come trofei di caccia. Uno dei capi della sommossa fu John M. Parker, uno che oggi in Italia sarebbe conteso da Lega e Forza Nuova - per dire - ma che ai tempi era considerato un sincero democratico, tanto da diventare successivamente Governatore della Louisiana ed affermare, nel 1911, che gli italiani sono "solo un po' peggio dei negri, essendo forse anche più sporchi nelle proprie abitudini, più fuorilegge e più infidi".
Ma in effetti - pensandoci bene - anche Salvini da noi viene considerato un sincero democratico.
E come in tutte le migliori storie di discriminazione, i fatti di New Orleans vennero sdoganati come una giusta reazione contro chi se l'era cercata e meritata. Teddy Roosevelt, futuro Presidente degli Stati Uniti, disse che aver dato "una lezione a quella razza" era stata "una buona cosa" Il New York Times definì le vittime del linciaggio come "siciliani furtivi e codardi, discendenti di banditi e assassini". Un altro editoriale affermò che "la legge del linciaggio era l'unica possibile per la gente di New Orleans". E via andare con il festival dell'odio razziale.
Si aprì una complessa crisi diplomatica tra Italia e Stati Uniti. L'ambasciatore italiano Fava venne richiamato dal presidente del Consiglio Starrabba di Rudinì. Il problema è che i diplomatici del Regno d'Italia erano nobili mentre le persone di cui dovevano occuparsi erano dagos, una razza inferiore, scuri di pelle, quindi trattati dagli americani come i negri. Insomma, gente per cui indignarsi non aveva molto senso. D'altro canto le teorie di celebrati pseudo-scienziati del tempo, come Cesare Lombroso, giustificavano totalmente queste considerazioni.
Per cui l'ambasciatore fece presto ritorno negli USA e la questione fu chiusa - non senza le proteste del Congresso americano - con un indennizzo pagato alle famiglie delle vittime con i fondi a disposizione del Presidente.
Col tempo, però, le vittime hanno spesso la possibilità di trasformarsi in carnefici. Basta solo attendere il proprio turno. E questo è quello che è successo anche a noi italiani. E - se vogliamo entrare ancor più nel dettaglio - questo è successo soprattutto ai meridionali che prima venivano presi a pesci in faccia dai leghisti e oggi plaudono al Salvini versione patriota, eroico argine all'usurpatore straniero.
Ci sarà sempre, per ogni razza, società o individuo, l'occasione di trovare uno più debole su cui scaricare le frustrazioni accumulate a causa della crisi economica o delle proprie sfortune o dei soprusi di chi esercita il potere. E, soprattutto, a soffiare su ogni fuocherello d'odio, ci sarà sempre un "salvatore della patria" su cui riporre le proprie vane speranze di riscatto. Per sentirsi un po' meno dagos e un po' più "bianchi".