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martedì 17 gennaio 2023

Mia nonna Concetta

Certe volte la mente fa dei salti che sembrano illogici. Io, però, ormai mi sono convinto che ci sia un sottile filo che lega ricordi, musiche, odori e sensazioni che apparentemente non hanno nulla a che vedere fra loro. Diciamo che tutto ha un senso anche se spesso non lo capiamo.

Di recente stavo riascoltando una canzone degli Ocean Colour Scene, Better Day, uscita in piena esplosione del cosiddetto fenomeno britpop (che, considerato il grande livello delle band venute fuori in quegli anni, di suo è un nome abbastanza di merda per descriverle).

Insomma, mentre ascoltavo, senza alcun motivo spiegabile, mi è venuta in mente mia nonna Concetta, che di certo non sarebbe stata fan dei fratelli Gallagher. E quasi automaticamente ho riflettuto sul fatto che, sì, ogni tanto penso a lei con affetto, ma non quanto dovrei e meriterebbe. E questa è probabilmente la "colpa" che tutti noi, chi più, chi meno, abbiamo nei confronti di chi ci ha voluto bene e, ad un certo punto del nostro cammino, se n'è dovuto andare. Siamo così  travolti dalle nostre giornate che non riusciamo a fermarci a pensare e ricordare adeguatamente chi lo meriterebbe.

La canzone andava avanti, e adesso avevo anche il viso di mia nonna davanti agli occhi. Poi, dal nulla, la mente si è spostata su Jovanotti. Ma non su Lorenzo Cherubini, pseudo-cantautore italiano che oggi fa i concerti sulle spiagge, no. Io mi sono proprio ricordato di quel Jovanotti "scemo" che tanto mi piaceva da bambino, quando andavo alle elementari. Quello di Gimme five, E' qui la festa? e La mia moto. Quello che aveva il cappellino con la scritta Yo e la camicia con le stelle. Quello che, al solo pensiero della risata idiota, oggi prenderei una mazza ferrata mentre allora cercavo pure di imitarla. Quello che pubblicò anche un paio di singoli con lo pseudonimo di Gino Latino, interpretando il personaggio come se fosse stato un altro cantante e tutto il resto...

Mia nonna mi aiutava a vestirmi la mattina, dicendomi di sbrigarmi per non fare tardi a scuola, e io canticchiavo "Gimme five, all right!", mia nonna mi preparava la merenda e io mettevo la cassetta di Jovanotti. Mia nonna cominciava già nel pomeriggio a prepare per la cena e io, seduto in cucina di fianco a lei, facevo i compiti e cantavo ripetutamente "My name is Gino...Latino!".

Ad un certo punto, come se fosse stata scossa da qualcosa, si voltò di scatto e mi interrogò: - che hai detto?

- Niente..., risposi quasi impaurito (hai visto mai che magari mi mollava un ceffone per qualche monelleria che non riuscivo ad identificare...)

- No, quello che stavi cantando...che hai detto?

- My...name is...Gino Latino

Mi guardò con quella sua tipica espressione, a metà fra il divertito e lo sdegnato, di quando ne combinavo qualcuna: - forse intendi Gino LATILLA (per lei, musicalmente, poteva esistere solo quel Gino, ovviamente)

- No, no, è Gino Latino

- Ma quali Latino...si chiama Gino Latilla

- No, nonna, si chiama Gino Latino

- Latilla

- Latino

- Ora vinni chi si chiama Latino...u nomi è L-a-t-i-l-l-a 

- Nonna ma se ti dico che si chiama Latino!

La risoluzione della controversia fu suo appannaggio. E' riaffiorata dal mio subconscio proprio mentre vagavo fra le note di Better Day e i ricordi infantili di Jovanotti. E mi viene da ridere ancora adesso, pensandoci. Una sentenza fulminante che non lasciava possibilità di appello, un colpo da kappaò tecnico. E mia nonna Concetta - che spero stia sorridendo con me adesso - era campionessa indiscussa in questo.

Fece un attimo di silenzio e poi, con l'atteggiamento di chi ha di meglio da fare e non intende infierire, concluse: - vatinni, va', babbu

venerdì 9 dicembre 2022

Claudio du bar

 

Se fosse nato a New York invece che 'a Muntagna, Claudio sarebbe diventato un rapper che Eminem e Puff Daddy scansateve proprio.

A Montagnareale, invece, Claudio lavorava nel bar del padre, Donn'Antoni, ai tempi in cui in paese c'era l'imbarazzo della scelta per attività di pasticceria e gelati artigianali di qualità. Oggi la fama delle sue abilità culinarie, frutto di anni di apprendimento sul campo, lo precede. Tutti in zona sanno che se in un determinato ristorante, bar o agriturismo ci lavora Claudio significa che il posto è di livello.

Ma, da ragazzo, colui che oggi è un artista in cucina aveva l'animo inquieto di uno che l'arte avrebbe voluto praticarla in altre forme. Lavorare nel bar del papà per dargli una mano con l'attività di famiglia - una scelta praticamente obbligata dalla cultura ereditaria siciliana - era qualcosa che gli andava stretto. Claudio era troppo avanti rispetto ai compaesani della sua età. E pertanto, facendo buon viso a cattivo gioco, il bar di Donn'Antoni divenne il suo palcoscenico, un posto intorno al quale, a certi orari della giornata, si radunavano molti giovani del paese. Ed era sempre uno spettacolo!

E' vero, i videogiochi di cui il locale era dotato erano un grosso catalizzatore dei più piccoli ma quando era il turno di Donn'Antoni, bravissima persona, al massimo entravi, ti facevi una partitina e dopo il game over andavi subito via. Mentre quando sapevi che c'era Claudio era tutta un'altra storia: le ore volavano che neanche te ne accorgevi.

La clientela, di fatto, era perfettamente ripartita in base al barista e il bar veniva identificato in modo diverso in base all'età di chi lo menzionava: i muntagnari di una certa età vi si riferivano chiamandolo u bar di Donn'Antoni mentre per bambini e ragazzi era, ovviamente, u bar di Claudio. E sembrava veramente che il posto si trasformasse nell'uno o nell'altro durante la giornata. 

Nel bar di Donn'Antoni l'atmosfera era come ovattata (e no, non ci stiamo riferendo al tasso alcolico determinato dalle barbette bevute a ripetizione da alcuni avventori). Persino la luce sembrava più fioca, quasi priva di forza. In quel momento era il locale dove il paesano, fra una preoccupazione e l'altra, stanco dopo una giornata di lavoro, si beveva una cosa e faceva due chiacchiere (ma a volte preferiva stare addirittura in silenzio) prima di tornare a casa. D'altro canto, ad una certa età, dopo dieci ore di fatica, con tutti i problemi che ti ritrovi ad affrontare, hai poca voglia di ridere e scherzare. Perché, mentre sorseggi il tuo bicchierino di vino o di birra, il pensiero fisso è che domani bisogna tornare a spaccarsi la schiena per portare a casa la pagnotta.

Di contro, nelle ore in cui diventavano u bar di Claudio, come nelle favole, il vano principale e la saletta adiacente si convertivano in un luna park. Videogiochi che macinavano, in piena attività, ma anche battute, risate e musica. Tanta musica. E sull'argomento Claudio era avanti, lo abbiamo detto. Mentre noi al massimo arrivavamo a Cristina D'Avena o al Jovanotti di Gimme Five, lui nello stereo portatile grigio a doppia piastra collocato fra il bancone e la cassa - in uno spazio che era diventato di fatto la sua consolle - sparava i Run DMC, i Beastie Boys e Derek B con la cassetta della compilation Dee-Jay Rap. E mentre la musica andava lui ci cantava pure sopra come un consumato gangsta rapper.

E non importa che i suoi rap fossero parole a caso che somigliavano all'inglese ma di fatto non erano né inglese né nessun'altra lingua conosciuta (e comunque lo aveva fatto anche Celentano in Prisencolinensinainciusol e nessuno si era mai lamentato). Tutti noi osservavamo le sue performance in estasi: era qualcosa che 'a Muntagna non si era mai visto né sentito. E volevamo assolutamente sapere e vedere di più. Claudio per noi era una specie di predicatore di modernità. I Litfiba, per esempio, dovrebbero ringraziarlo per il successo avuto in Sicilia: se non ci fosse stato Claudio con la cassettina di El Diablo perennemente a palla nel bar, probabilmente oggi da noi sarebbero dei perfetti sconosciuti.

Lui a volte, quando rappava, si registrava pure (quello stereo portatile poteva fare anche da studio di registrazione) e provava a coinvolgerci. Ma eravamo così impediti rispetto al suo ritmo e alla sua capacità di improvvisare che al massimo ci veniva fuori un ridicolo yeah! che ripetevamo un paio di volte di seguito fino a che Claudio era costretto ad interrompere la registrazione e a liquidarci con un bonario lassammu perdiri, va

Ma non era uno che si faceva prendere dalla collera. Mai. Neanche quando Luca lo stuzzicava. O meglio, quando gli rompeva le palle come fanno tutti i bambini con i ragazzi più grandi. Quello lo punzecchiava, si avvicinava, gli toccava il braccio e correva a distanza di sicurezza, lo sfidava col suo cavallo di battaglia: "ichisiiii". Claudio, allora, si produceva nella sua famosa imitazione del milanese (quantomeno del milanese secondo noi siciliani) e, con quell'accento, gli rispondeva: "se continui, tra due secondi ti faccio due mosse da heavy metal...". Ora, nonostante l'heavy metal non fosse uno stile di lotta, noi conoscevamo alla perfezione il vocabolario di Claudio e sapevamo cosa sarebbe venuto dopo. Lo sapeva pure Luca che si divertiva un mondo e insisteva fino a che il barista non si trasformava nell'"heavy metal", se lo caricava sulle spalle (allora era possibile, ci chiediamo cosa succederebbe se ci provasse adesso...) e lo faceva girare fino a fargli venire le vertigini. Il bambino, che con le sue provocazioni cercava proprio quel divertimento, lo implorava ridendo di gusto: "aiutuuu, va bene, va bene, fammi scinniri, chiedo perdono!". Era la parola d'ordine con cui si fermava il gioco senza alcuna ulteriore conseguenza.

Poi arrivava Donn'Antoni, Claudio, da bravo figlio, tornava serio, la musica calava subito di volume e l'ambiente si preparava ad ospitare i grandi e gli anziani. Noi ce ne andavamo a casa sorridenti, pensando a quanto Claudio fosse avanti.



venerdì 2 dicembre 2022

I quiz radiofonici, Don Mario e i suoi eredi

In principio fu Radio Monte Ilici. Nella meravigliosa epoca delle radio libere, quando per trasmettere "bastava" piantare un'antenna e cominciare a parlare a un microfono, in un paesino come il nostro nacque una piccola realtà mediatica che irradiava musica e parole, rendendo anche un servizio alla comunità con informazione locale e intrattenimento.

Poi fu la volta di Radio Stereo Time, figlia dell'entusiastica iniziativa di Sebastiano - per tutti i muntagnari Bastianu - che insieme ad alcuni coetanei (con i quali condivideva la stessa positiva "follia"), ad un certo punto, ebbe l'idea di creare un'alternativa più giovanile alla Radio Monte Ilici di quegli anni. Il nome scelto, in inglese, in effetti mise subito in chiaro le intenzioni dei nostri prodi.

Così, per un po' di anni, ci trovammo in casa ben due stazioni radiofoniche, in amichevole concorrenza fra di loro, che rappresentavano un meraviglioso passatempo e un mezzo di espressione per quei ragazzi che giocavano a fare i dee-jay. Certo, i risultati a volte erano di un livello che definire "dilettantistico" sarebbe un eufemismo. Per esempio, da quell'esperienza sono state consegnate alla storia frasi come "e ci abbiamo ascoltato questo brano di...". Ma era bello lo stesso. O, forse, era bello proprio per questo.

Con il lancio di Radio Stereo Time, l'offerta di programmi di intrattenimento per i muntagnari e per gli abitanti delle altre zone coperte dal segnale raddoppiava. Spesso si trattava di repliche infinite della stessa formula, è vero. Ma la gente adorava telefonare in radio per richiedere le proprie canzoni preferite (selezionandole come si faceva mettendo una monetina nel juke-box, in pratica) e affidare all'improvvisato speaker di turno il compito di leggere la dedica per la fidanzata, la mamma o gli amici. Mica potevi chiamare RDS o Radio Dee-Jay per chiedergli di mettere l'ultimo pezzo di Scialpi o dei Duran Duran e dedicarlo "da panna per fragola con amore. Ci vediamo alle sei al solito posto". Se il povero paesano - che voleva solo esprimere i propri sentimenti nei confronti della sua ragazza usando lo stratagemma dei nomi in codice per evitare che il padre di lei lo scoprisse e gli spaccasse la schiena - lo avesse fatto, come minimo quelli all'altro capo del telefono avrebbero chiamato i carabinieri o la neuro. Nelle radio libere di paese, invece, no. Era tutto più intimo, quasi familiare. Ed è normale affidare a un familiare la consegna di un messaggio d'affetto.

Un'altra specialità della casa erano i giochi a premi, comunemente chiamati quiz radiofonici. Sulla scia del successo decennale di quelli televisivi, nel corso degli anni sia Monte Ilici che Stereo Time ne proposero svariati.

Nella radio di Bastianu, il Mike Bongiorno locale all'inizio fu Don Mariu du bar. Il noto pasticciere del paese, oltre ad essere un maestro dei dolci, aveva anche il coraggio e la capacità di disimpegnarsi con cuffie e microfono. Talvolta sgrammaticato, magari, ma comunque sempre padrone della situazione. Disinvolto nell'interagire con gli ascoltatori che chiamavano per provare a risolvere i rompicapo che il conduttore proponeva durante il programma e vincere così uno dei premi in palio. Fra una telefonata e l'altra, poi, Don Mario lanciava anche qualche pezzo di liscio molto apprezzato dagli ascoltatori di una certa età, fedeli seguaci della trasmissione. Ma la musica non inganni. Ad ascoltare Don Mario c'erano anche ragazzi e bambini. Potremmo dire che il suo era un programma per famiglie. 

Certo, a volte qualche giovinastro si divertiva a fare uno scherzo al conduttore ma l'ira funesta di quest'ultimo si abbatteva su di lui. Come quella sera in cui un fantomatico concorrente, per fare lo spiritoso, rispose che l'oggetto misterioso da indovinare era "u ***** chi ti norba". Bastarono due parole di Don Mariu pronunciate con un tono leggermente più alto perché quello staccasse immediatamente il telefono e andasse a nascondersi sperando di non essere stato riconosciuto. D'altro canto, quando il barista del paese si arrabbiava, bastava un suo urlo da dentro il bar perché la gente sotto l'albero si ammutolisse e gli uccelli sui rami smettessero di cinguettare. 

Un altro momento magico del quiz di Don Mario fu la chiamata di quell'ascoltatore che tentò di indovinare l'animale misterioso. Il presentatore volle dargli un aiutino e gli rivelò la prima lettera: "fai bene attenzione: l'animale comincia con la P". Il concorrente a casa ci pensò su qualche secondo e poi - forse un po' dubbioso, sì, ma che diamine, bisogna buttarsi per tentare la fortuna! - concluse: "Ma chi è per casu, u Popotimu??".

Anni dopo, nel 1994, quando il barista si era ritirato ormai da un pezzo dalla carriera radiofonica, toccò a una squadra di ragazzi provare a far rivivere i fasti del gioco a premi. Impresa ardua che ebbe un discreto successo pur non arrivando a eguagliare i risultati di pubblico dell'originale. D'altro canto, il tentativo di emulazione venne affidato a ben sei elementi, che conducevano tutti insieme creando, a tratti, anche una discreta confusione. E già questo ci fornisce un dato oggettivo: per fare un Don Mario ci volevano almeno sei picciotti moderni.

Inoltre, il revival del gioco a premi venne proposto solo nel periodo di Natale come appuntamento speciale. Inutile dire che anche questa trasmissione si rivelò una miniera di perle indelebili. Il momento più alto venne probabilmente raggiunto con la bocciatura da parte di uno degli speaker di una risposta assolutamente corretta fornita da un concorrente. Il gioco verteva su domande di cultura generale in stile Trivial Pursuit. Vabbè, non prendiamoci in giro: per fare le domande i conduttori usavano proprio le carte del Trivial Pursuit. Com'è noto, i quesiti si basavano su varie categorie: scienze, storia, sport, ecc. Bene, se pensate che il presentatore che fa domande di cultura generale debba essere almeno minimamente ferrato in cultura generale, sappiate che date le cose troppo per scontato.
Ad un certo punto, infatti, arrivò la chiamata di Massimiliano da Montagnareale (ricordatevi che il segnale arrivava anche fuori dal paese) Uno dei magnifici sei, lasciato un po' in disparte durante le ultime telefonate, si era prenotato poco prima per interagire col seguente ascoltatore. E quindi: "Ciao Massimiliano, che categoria scegli per giocare?". Quello scelse storia. "Bene, mi sai dire chi era il Presidente della Repubblica nel 1982? Pensaci bene...". E quello, senza perdere un secondo di più, rispose sicuro che era Sandro Pertini. Tutto bene, direte voi. Adesso gli dice che ha indovinato e che ha vinto un premio. Ma voi date le cose troppo per scontato, come detto.
Si dà il caso che il conduttore in questione avesse il vizio di tenere in mano non solo la carta della disciplina scelta ma anche tutte le altre. Se poi ci mettiamo anche che aveva qualche lacuna in storia (fra le altre materie), potrete facilmente immaginare cosa avvenne dopo.
Nella concitazione del momento, la carta con le domande di sport si era fatalmente sovrapposta a quella di storia: "Nooooo, purtroppo hai sbagliato! Peccato! La risposta esatta era Sandro Mazzola!". Nello studio e a casa di Massimiliano scese il gelo. Per qualche interminabile secondo nessuno parlò. Subito dopo, come se si fossero ridestati all'unisono dall'ibernazione, gli altri cinque cominciarono a gesticolare sperando che il collega capisse l'errore e si correggesse. Ma il novello Gerry Scotti (o Piero Angela, se volete) si limitava a guardarli con un gigantesco punto interrogativo stampato in faccia. Alla fine, uno degli altri conduttori si riprese dallo shock e provò a millantare, emettendo una risatina nervosa, una poco credibile burla ai danni dell'ascoltatore, proclamandolo vincitore prima di lanciare in fretta e furia la pubblicità. 

Scherzi della diretta, direbbe qualcuno. Per fortuna ci pensò la mamma di Bastianu, la signora Anna, a premiare le fatiche dei nostri. La sera dopo l'ultima puntata, andata in onda un paio di giorni prima di Natale, sfoderando la proverbiale ospitalità delle mamme della sua generazione, invitò tutto lo staff a casa a mangiare pasticcini e brindare per celebrare un'esperienza dai risvolti spesso comici, sì, ma in cui ognuno metteva il cuore.



venerdì 16 febbraio 2018

Io, Nunzio, le compilation e la radio di Sebastiano

Non c'erano ancora gli mp3, non c'erano le web-radio, a stento si usavano i compact disk. La musica la registravamo in cassetta, magari da 33 giri dal suono scricchiolante oppure l'ascoltavamo alla radio, preferibilmente su stazioni locali che nella provincia siciliana si sentivano meglio di alcune emittenti nazionali.
Meraviglioso il periodo delle radio libere! Spesso mancava la competenza ma era uno stupendo insieme di creatività e comicità. Tutti (o quasi) potevano improvvisarsi dj in una piccola radio locale: essere in grado di mettere una dietro l'altra due parole di senso compiuto, possedere proprietà di linguaggio e avere qualcosa da dire non sempre erano caratteristiche necessarie per mettersi davanti ad un microfono. Il risultato era spesso improbabile, eppure i programmi di dediche, gettonatissimi, erano molto seguiti. Perché si poteva dire quello che oggi viene affidato ai social network.
Poi - per carità - non sempre il risultato era farsesco. C'era anche chi, nel suo piccolo, aveva "voce" e sapeva disimpegnarsi abbastanza bene quando c'era da presentare dischi e cantanti in diretta.

Uno di questi era Sebastiano - in paese conosciuto come Bastianu - che, dopo aver fatto lo speaker a Radio Monte Ilici, aveva deciso di mettersi in proprio aprendo Radio Stereo Time.
Cioè, per capirci meglio: negli anni Novanta, in un paesino di appena un migliaio di anime, c'erano ben due emittenti locali. Stupefacente.
Io e Sebastiano eravamo vicini di casa e, soprattutto, siamo sempre stati come di famiglia. La sede della radio era proprio sotto casa sua. Dentro, lo spazio era piccolino: ci entravano a stento due piatti per i dischi, il microfono e una sedia girevole e poi qualche scaffale per i vinili. Ma non avevo mai visto niente del genere e a me sembrava un'astronave. Sin dall'apertura dell'emittente, quando ero ancora un bambino, Sebastiano mi aveva sempre permesso di stare lì a guardare lui e gli altri ragazzi che trasmettevano, a patto che me ne stessi buono e non disturbassi. E lì dentro ci passavo le ore. Guardavo e riguardavo le copertine dei dischi, uno per uno. Osservavo i ragazzi che preparavano sul piatto la prossima canzone (a volte azzardavo anche delle richieste, soprattutto canzoni degli Europe), poi si mettevano la cuffia, alzavano il cursore e cominciavano a parlare. Ero letteralmente rapito dalla magia della radio.
Qualche anno dopo, ormai adolescente, forse perché nel frattempo ero diventato parte dell'arredamento, Bastianu mi diede la mia chance. Dopo tanto osservare, avendo imparato a memoria il funzionamento del mixer, avrei potuto perfettamente occuparmi di fare una "selezione musicale". In sostanza, chi non sapeva o non voleva o non poteva - quest'ultimo era il mio caso - parlare al microfono, passava solo i dischi e ogni tanto diceva "state ascoltando Radio Stereo Time sui 95.4 e i 97.7 in FM". Ero in estasi. La mia prima "selezione musicale" durò oltre tre ore: un brano dopo l'altro misi sul piatto tutto ciò che mi piaceva di più. E chi si scollava da quella postazione tanto agognata!
In seguito arrivò anche la "promozione": i miei "state ascoltando..." dovevano aver fatto presa sul pubblico perché chiesi e ottenni di poter condurre un programma musicale tutto mio, con tanto di presentazione delle canzoni e tutto il resto. All'inizio, a dire il vero, si trattò di una co-conduzione con il più esperto Nino, uno dei disk-jockey più quotati dell'intero paese (no, non Paese nel senso di Italia, paese proprio nel senso del nostro paesino). Da lì, il passo a programmi di approfondimento sportivo - approfondimento: si fa per dire - fu breve. Il sabato o la domenica pomeriggio con Giovanni e le sue statistiche scritte a penna su un quaderno di scuola, durante la settimana con Francesco in studio e Luca inviato a seguire le partite di coppa in collegamento (da casa sua). Ah, la creatività e gli amici nelle radio libere non mancavano mai!

Oltre al posto dove fare il programma - come si diceva allora quando si trasmetteva in diretta -, Radio Stereo Time era anche una grande fonte di dischi e Sebastiano, bontà sua, mi permetteva pure di  registrare le mie cassettine con le novità che arrivavano periodicamente. Le compilation erano il mio forte. La musica rock la mia fissazione adolescenziale (che non si è mai sopita, in realtà).
Un giorno, al mare, parlando di dischi e gruppi con Nunzio, ci venne un'illuminazione! Avremmo creato una serie di raccolte, rigorosamente registrate in cassetta, selezionando pezzi rock da altri nastri (molti) e cd (pochi) in nostro possesso e dai vinili che Sebastiano mi lasciava registrare in radio. L'idea c'era. Ora serviva un nome, un brand con cui marchiare le nostre collezioni.
Ci pensammo su per un po' e poi Nunzio, riferendosi al contenuto, fece: "ci mittemmu musica a mazziari" (tradotto, per il resto d'Italia: in codeste musicassette inseriremo musica molto potente). Bingo! Gli risposi: "giustu, musica pi sbattiri a testa 'nto muru!" (giusto, musica talmente bella che, ogni volta che l'ascolteremo, ci provocherà accese emozioni!, ndr). E infine, mettendoci quell'inglesismo che fa sempre figo, conclusi: "chiamiamola Hit The Head Wall Wall compilation", che è più o meno la "traduzione" letterale del siciliano sbatti a testa mura mura (colpisci ripetutamente la parete con il capo, ndr).
Ora, dovete sapere che Nunzio è probabilmente uno dei più puntigliosi ed instancabili collezionisti dell'universo. Collezioni di musica, film, riviste, album: l'importante è che si raggiunga sempre la perfezione. Per esempio, se dopo aver registrato un film in vhs, riguardandolo, si accorgeva di una impercettibile (all'occhio umano ma non al suo!) riga in una frazione di secondo del video, l'operazione era automaticamente da ripetere, anche più volte, se necessario.
Pertanto, sin dall'inizio ero consapevole che selezionare i brani da includere nel nostro progetto sarebbe stato un duro lavoro, ma accettai la sfida.
Passammo l'intera estate del 1994 ad analizzare, valutare, soppesare, ascoltare, calcolare. Se pensavate che fare una cassetta fosse più semplice, è chiaro che non avete mai conosciuto Nunzio. In spiaggia, al pomeriggio, facevamo il punto sui nostri progressi: quel pezzo va bene, quello no, quel gruppo sì, quell'altro forse. La sera, invece, spesso andavamo in radio e, mentre io mi dilettavo in qualche selezione musicale, Nunzio setacciava gli scaffali dei vinili come un cane da tartufo in cerca di canzoni che facessero al caso nostro.
A fine agosto, eravamo finalmente pronti: Hit The Head Wall Wall compilation part 1 avrebbe visto la luce. Sì perché, cercando cercando, avevamo raccolto materiale per riempire almeno tre o quattro cassette. Il 6 settembre del 1994, come indicato sulla copertina dello stesso nastro, fu il giorno in cui Nunzio si chiuse in sala di registrazione (cioè la sua camera da letto, dove aveva lo stereo) e procedette all'incisione. La leggenda narra che, per fare un lavoro perfetto (e come, se no?) dei suoi, si fosse chiuso a chiave e non fosse uscito per tutto il giorno, neanche per mangiare. Alla sera, con le due prime (e uniche) copie editate, la mia e la sua cassetta, ci incontrammo in piazza per condividere il tesoro.

Valutando oggi quel lavoro, che ai tempi ci sembrava obiettivamente colossale, possiamo concludere che tre mesi di ricerche, valutazioni e selezioni produssero un (meraviglioso) minestrone di brani rock basato su un avanzato metodo bibliografico, riassumibile con la seguente formula: chista mi piaci, l'haiu, c'ha mettu (gradisco la canzone, quindi dato che ho a disposizione il disco sorgente, la converto sul nastro, ndr). E quindi, per esempio, i Rolling Stones o gli AC-DC, mostri sacri del rock, magari finivano per ritrovarsi nella stessa compilation con i meno quotati Ted Nugent o Blue Öyster Cult. Oppure, nonostante avesse cantato fior fiore di capolavori con i Led Zeppelin, di Robert Plant eravamo riusciti a reperire solo un singolo da solista, carino ma certamente non indimenticabile. O ancora, se i brani selezionati per la compilation non riempivano l'intero spazio a disposizione sul nastro, si passava al metodo ci ni mettu nautra (rimpinguo il contenuto con un'ulteriore opera di uno degli artisti presenti), in genere aggiungendo un altro pezzo tratto dallo stesso album da cui, per un determinato cantante o gruppo, erano stati selezionati gli altri due o tre già inseriti nella compilation.


Fatta la cassetta, era arrivato il momento di sperimentarne il suono. Ma dove? Come? E con chi?
Ci guardammo intorno. C'erano solo degli anziani seduti davanti al bar e un paio di bambini che giocavano in piazza. Di certo, nessuno di loro era utile alla nostra causa. Ad un certo punto, però, notammo Nino (il  mio ormai ex-co-conduttore), che aveva parcheggiato la sua Fiat Uno. Nonostante qualche resistenza, riuscimmo a convincerlo a farci provare la compilation nella sua autoradio. Nino ha sempre avuto un cuore d'oro. A noi si unì anche Salvatore, che era arrivato mentre eravamo intenti nell'opera di persuasione di Nino.
Quella del 6 settembre 1994 la ricordo ancora come una serata memorabile. La musica a palla sulla Fiat Uno, che più tamarri di così impossibile. Nino che - bastian contrario - si lamentava costantemente della musica, nonostante intimamente in realtà gli piacesse. Salvatore che apprezzava ma che, soffrendo il volume un po' troppo elevato, con voce stridula, ogni tanto urlava maronnaaaa. Nunzio e io che ci ci esaltavamo a ogni nota, davvero soddisfatti del nostro lavoro.
Alla prima Hit The Head sarebbero seguite, dopo ulteriori fatiche, altre due raccolte con lo stesso titolo (la terza la sottotitolammo addirittura "Progressive Alteration", giusto per farla sembrare ancora più potente).

Era quello un tempo in cui tutti potevano fare la radio e, con due vinili e una cassetta (e la Fiat Uno di Nino), era possibile creare colonne sonore indelebili.