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venerdì 9 dicembre 2022

Claudio du bar

 

Se fosse nato a New York invece che 'a Muntagna, Claudio sarebbe diventato un rapper che Eminem e Puff Daddy scansateve proprio.

A Montagnareale, invece, Claudio lavorava nel bar del padre, Donn'Antoni, ai tempi in cui in paese c'era l'imbarazzo della scelta per attività di pasticceria e gelati artigianali di qualità. Oggi la fama delle sue abilità culinarie, frutto di anni di apprendimento sul campo, lo precede. Tutti in zona sanno che se in un determinato ristorante, bar o agriturismo ci lavora Claudio significa che il posto è di livello.

Ma, da ragazzo, colui che oggi è un artista in cucina aveva l'animo inquieto di uno che l'arte avrebbe voluto praticarla in altre forme. Lavorare nel bar del papà per dargli una mano con l'attività di famiglia - una scelta praticamente obbligata dalla cultura ereditaria siciliana - era qualcosa che gli andava stretto. Claudio era troppo avanti rispetto ai compaesani della sua età. E pertanto, facendo buon viso a cattivo gioco, il bar di Donn'Antoni divenne il suo palcoscenico, un posto intorno al quale, a certi orari della giornata, si radunavano molti giovani del paese. Ed era sempre uno spettacolo!

E' vero, i videogiochi di cui il locale era dotato erano un grosso catalizzatore dei più piccoli ma quando era il turno di Donn'Antoni, bravissima persona, al massimo entravi, ti facevi una partitina e dopo il game over andavi subito via. Mentre quando sapevi che c'era Claudio era tutta un'altra storia: le ore volavano che neanche te ne accorgevi.

La clientela, di fatto, era perfettamente ripartita in base al barista e il bar veniva identificato in modo diverso in base all'età di chi lo menzionava: i muntagnari di una certa età vi si riferivano chiamandolo u bar di Donn'Antoni mentre per bambini e ragazzi era, ovviamente, u bar di Claudio. E sembrava veramente che il posto si trasformasse nell'uno o nell'altro durante la giornata. 

Nel bar di Donn'Antoni l'atmosfera era come ovattata (e no, non ci stiamo riferendo al tasso alcolico determinato dalle barbette bevute a ripetizione da alcuni avventori). Persino la luce sembrava più fioca, quasi priva di forza. In quel momento era il locale dove il paesano, fra una preoccupazione e l'altra, stanco dopo una giornata di lavoro, si beveva una cosa e faceva due chiacchiere (ma a volte preferiva stare addirittura in silenzio) prima di tornare a casa. D'altro canto, ad una certa età, dopo dieci ore di fatica, con tutti i problemi che ti ritrovi ad affrontare, hai poca voglia di ridere e scherzare. Perché, mentre sorseggi il tuo bicchierino di vino o di birra, il pensiero fisso è che domani bisogna tornare a spaccarsi la schiena per portare a casa la pagnotta.

Di contro, nelle ore in cui diventavano u bar di Claudio, come nelle favole, il vano principale e la saletta adiacente si convertivano in un luna park. Videogiochi che macinavano, in piena attività, ma anche battute, risate e musica. Tanta musica. E sull'argomento Claudio era avanti, lo abbiamo detto. Mentre noi al massimo arrivavamo a Cristina D'Avena o al Jovanotti di Gimme Five, lui nello stereo portatile grigio a doppia piastra collocato fra il bancone e la cassa - in uno spazio che era diventato di fatto la sua consolle - sparava i Run DMC, i Beastie Boys e Derek B con la cassetta della compilation Dee-Jay Rap. E mentre la musica andava lui ci cantava pure sopra come un consumato gangsta rapper.

E non importa che i suoi rap fossero parole a caso che somigliavano all'inglese ma di fatto non erano né inglese né nessun'altra lingua conosciuta (e comunque lo aveva fatto anche Celentano in Prisencolinensinainciusol e nessuno si era mai lamentato). Tutti noi osservavamo le sue performance in estasi: era qualcosa che 'a Muntagna non si era mai visto né sentito. E volevamo assolutamente sapere e vedere di più. Claudio per noi era una specie di predicatore di modernità. I Litfiba, per esempio, dovrebbero ringraziarlo per il successo avuto in Sicilia: se non ci fosse stato Claudio con la cassettina di El Diablo perennemente a palla nel bar, probabilmente oggi da noi sarebbero dei perfetti sconosciuti.

Lui a volte, quando rappava, si registrava pure (quello stereo portatile poteva fare anche da studio di registrazione) e provava a coinvolgerci. Ma eravamo così impediti rispetto al suo ritmo e alla sua capacità di improvvisare che al massimo ci veniva fuori un ridicolo yeah! che ripetevamo un paio di volte di seguito fino a che Claudio era costretto ad interrompere la registrazione e a liquidarci con un bonario lassammu perdiri, va

Ma non era uno che si faceva prendere dalla collera. Mai. Neanche quando Luca lo stuzzicava. O meglio, quando gli rompeva le palle come fanno tutti i bambini con i ragazzi più grandi. Quello lo punzecchiava, si avvicinava, gli toccava il braccio e correva a distanza di sicurezza, lo sfidava col suo cavallo di battaglia: "ichisiiii". Claudio, allora, si produceva nella sua famosa imitazione del milanese (quantomeno del milanese secondo noi siciliani) e, con quell'accento, gli rispondeva: "se continui, tra due secondi ti faccio due mosse da heavy metal...". Ora, nonostante l'heavy metal non fosse uno stile di lotta, noi conoscevamo alla perfezione il vocabolario di Claudio e sapevamo cosa sarebbe venuto dopo. Lo sapeva pure Luca che si divertiva un mondo e insisteva fino a che il barista non si trasformava nell'"heavy metal", se lo caricava sulle spalle (allora era possibile, ci chiediamo cosa succederebbe se ci provasse adesso...) e lo faceva girare fino a fargli venire le vertigini. Il bambino, che con le sue provocazioni cercava proprio quel divertimento, lo implorava ridendo di gusto: "aiutuuu, va bene, va bene, fammi scinniri, chiedo perdono!". Era la parola d'ordine con cui si fermava il gioco senza alcuna ulteriore conseguenza.

Poi arrivava Donn'Antoni, Claudio, da bravo figlio, tornava serio, la musica calava subito di volume e l'ambiente si preparava ad ospitare i grandi e gli anziani. Noi ce ne andavamo a casa sorridenti, pensando a quanto Claudio fosse avanti.