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lunedì 25 dicembre 2023

U focu di Natale dei carusi da Muntagna

C’è una tradizione muntagnara nel cuore di tutti: il falò della novena di Natale. Giovani e anziani. Donne e uomini. Fedeli o semplici amanti delle usanze di una volta. Tutti sono rapiti dalla magia del fuoco che brucia gli arbusti portati ogni mattina nella piazza della chiesa da valenti ragazzi che, fino alla notte di Natale, si svegliano all’alba per andarli a raccogliere.

Abbigliati come un incrocio fra un boscaiolo e un guerrigliero delle foreste dell’America Latina, con ammirabile spirito di sacrificio, varie generazioni di carusi del nostro paese hanno reso possibile il protrarsi di questo meraviglioso rito.

Ogni anno, finita la messa, grazie a loro riparte puntuale il crepitìo delle fiamme che si mescola al vociare sommesso dei fedeli che hanno assistito alla funzione religiosa. Il calore del fuoco che ristora i paesani infreddoliti e ne illumina i volti mentre si fermano per qualche minuto ad ammirare la maestosità di quello spettacolo vecchio come il mondo. Poi, piano piano, tutti si rimettono in moto pronti ad affrontare la giornata: lavoro o scuola che sia. Appuntamento al giorno dopo. Pillole quotidiane dell’atmosfera del Natale che si avvicina.

Fino alla notte più bella. I carusi si fanno in quattro per preparare uno spettacolo persino superiore a  quello che hanno offerto nei giorni precedenti. Mentre il sacerdote dice messa e il bambinello sta per venire al mondo, loro riscaldano l’ambiente per i paesani meno religiosi rimasti lì fuori (e intervenuti per puro spirito di aggregazione) alimentando di tanto in tanto le fiamme con rami e foglie. Il falò è pronto a divampare ma i ragazzi lo tengono a bada. “Compare, sta calmu chi ancora nun è ura”, sembrano dirgli. Quello prova a replicare, borbotta, ma desiste.

Mezzanotte. I fedeli salutano la nascita del salvatore e cominciano a uscire ammassandosi ai margini della piazza mischiandosi con chi era già lì. Suonano le campane. È il segnale. I carusi si muovono all’unisono per dare libero sfogo alla voglia del falò di stupire, di ipnotizzare, quasi soggiogare i muntagnari. I quali prima provano istintivamente a resistergli, fanno gli indifferenti, si scambiano saluti e auguri. Ma poi, uno dopo l’altro, volgono lo sguardo verso quello spettacolo e ne cadono dolcemente preda. Si abbandonano completamente ad esso.

Anno dopo anno. Generazione dopo generazione. Sempre grazie a quei giovani boscaioli improvvisati che non chiedono nulla in cambio. Gli bastano quei cuori riscaldati e quei volti rischiarati dal loro falò.