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martedì 17 gennaio 2023

Mia nonna Concetta

Certe volte la mente fa dei salti che sembrano illogici. Io, però, ormai mi sono convinto che ci sia un sottile filo che lega ricordi, musiche, odori e sensazioni che apparentemente non hanno nulla a che vedere fra loro. Diciamo che tutto ha un senso anche se spesso non lo capiamo.

Di recente stavo riascoltando una canzone degli Ocean Colour Scene, Better Day, uscita in piena esplosione del cosiddetto fenomeno britpop (che, considerato il grande livello delle band venute fuori in quegli anni, di suo è un nome abbastanza di merda per descriverle).

Insomma, mentre ascoltavo, senza alcun motivo spiegabile, mi è venuta in mente mia nonna Concetta, che di certo non sarebbe stata fan dei fratelli Gallagher. E quasi automaticamente ho riflettuto sul fatto che, sì, ogni tanto penso a lei con affetto, ma non quanto dovrei e meriterebbe. E questa è probabilmente la "colpa" che tutti noi, chi più, chi meno, abbiamo nei confronti di chi ci ha voluto bene e, ad un certo punto del nostro cammino, se n'è dovuto andare. Siamo così  travolti dalle nostre giornate che non riusciamo a fermarci a pensare e ricordare adeguatamente chi lo meriterebbe.

La canzone andava avanti, e adesso avevo anche il viso di mia nonna davanti agli occhi. Poi, dal nulla, la mente si è spostata su Jovanotti. Ma non su Lorenzo Cherubini, pseudo-cantautore italiano che oggi fa i concerti sulle spiagge, no. Io mi sono proprio ricordato di quel Jovanotti "scemo" che tanto mi piaceva da bambino, quando andavo alle elementari. Quello di Gimme five, E' qui la festa? e La mia moto. Quello che aveva il cappellino con la scritta Yo e la camicia con le stelle. Quello che, al solo pensiero della risata idiota, oggi prenderei una mazza ferrata mentre allora cercavo pure di imitarla. Quello che pubblicò anche un paio di singoli con lo pseudonimo di Gino Latino, interpretando il personaggio come se fosse stato un altro cantante e tutto il resto...

Mia nonna mi aiutava a vestirmi la mattina, dicendomi di sbrigarmi per non fare tardi a scuola, e io canticchiavo "Gimme five, all right!", mia nonna mi preparava la merenda e io mettevo la cassetta di Jovanotti. Mia nonna cominciava già nel pomeriggio a prepare per la cena e io, seduto in cucina di fianco a lei, facevo i compiti e cantavo ripetutamente "My name is Gino...Latino!".

Ad un certo punto, come se fosse stata scossa da qualcosa, si voltò di scatto e mi interrogò: - che hai detto?

- Niente..., risposi quasi impaurito (hai visto mai che magari mi mollava un ceffone per qualche monelleria che non riuscivo ad identificare...)

- No, quello che stavi cantando...che hai detto?

- My...name is...Gino Latino

Mi guardò con quella sua tipica espressione, a metà fra il divertito e lo sdegnato, di quando ne combinavo qualcuna: - forse intendi Gino LATILLA (per lei, musicalmente, poteva esistere solo quel Gino, ovviamente)

- No, no, è Gino Latino

- Ma quali Latino...si chiama Gino Latilla

- No, nonna, si chiama Gino Latino

- Latilla

- Latino

- Ora vinni chi si chiama Latino...u nomi è L-a-t-i-l-l-a 

- Nonna ma se ti dico che si chiama Latino!

La risoluzione della controversia fu suo appannaggio. E' riaffiorata dal mio subconscio proprio mentre vagavo fra le note di Better Day e i ricordi infantili di Jovanotti. E mi viene da ridere ancora adesso, pensandoci. Una sentenza fulminante che non lasciava possibilità di appello, un colpo da kappaò tecnico. E mia nonna Concetta - che spero stia sorridendo con me adesso - era campionessa indiscussa in questo.

Fece un attimo di silenzio e poi, con l'atteggiamento di chi ha di meglio da fare e non intende infierire, concluse: - vatinni, va', babbu